Il taccuino rosso

L’ho ritrovato l’autunno scorso,mentre ripulivo vecchi cassetti,e la mia vita da una quantità spropositata di ciarpame. E’ colpa di mia madre e di mia nonna prima di lei,non buttavano via nulla,convinte che in un ipotetico futuro un vecchio scialle o il tappo in sughero dello spumante potessero tornare utili.Ha la copertina in cuoio rosso,talmente invecchiata e sbiadita da ricordare il rosa del ramonto,quando il sole sparisce all’orizzonte lasciando sul mare,la scia di un dolcissimo passaggio.Lo rigiro tra le mani,e piano ne sfoglio le pagine ingiallite,quasi fosse una reliquia. Il nome di C. spicca in alto,una grafia femminile un pò infantile e piena. Pagine bianche l’una dopo l’altra si susseguono furtive,senza alcun fruscio,quasi fossero farfalle. Un quaderno di ricette,ancora immacolato,carico di aspettative e di speranze inevase. Quando una persona cara ti lascia,non sono gli oggetti a ricordarti il bene che le hai voluto,ma le emozioni che si tramutano in ricordi...amaro e dolce che riaffiora tra silenziose lacrime di un pomeriggio di primavera inoltrata. La rivedo tra i fornelli,nella sua cucina di un candore disarmante come il suo animo gentile e quieto. Il silenzio parla di lei,delle sue erbe,dei suoi profumi speziati,delle tisane al miele di tiglio e i decotti curativi per ogni malanno del fisico e dell’animo. Lei che aveva un rimedio per tutto ma non per il suo male. Una calligrafia gentile,poco svolazzante,ma limpida e fiera. Pensieri e parole di carta riempiono il quaderno.Ho cominciato a scriverne in autunno,per amore di lei,per me stessa. Un quaderno sgualcito,ricette vecchie e nuove per mettersi costantemente alla prova.


lunedì 17 marzo 2008

AMICI...


Lucky non si ferma mai,corre in mezzo agli aranceti,scavalca le siepi,urta il vento. Lo vedi cavalcare le onde nell’erba alta che sfiora il metro d’altezza.
E’ una piccola macchia bianca e nera che sbuca dai sentieri di frasche e rovi coperti di frutti d’ebano. Ogni tanto frena la sua corsa,e si volge indietro fiero.
Uno sguardo d’ambra si mescola al tuo.
Riverberi di luce oscurano il sole.
Quanto orgoglio, quanta immacolata fierezza in quel piccolo corpo!
Cammina accanto a me,quando la sera quieta e stanca,colora d’ombra il sentiero che riconduce a casa.
Paco è un terremoto di pelo e orecchie,che porta indietro come un vezzo di bimbo.
E’ una carogna,glielo leggi nei grandi occhi nocciola puntellati di stelle. Ti guarda di sottecchi, con la lingua che penzola e la coda che flette l’aria in un gioioso stornello.

Più pesante,massiccio del padre,porta in giro zampe enormi ed un tartufo ben proporzionato. Aspira l’aria come un assetato ingolla le ultime gocce d’acqua nell’assolato deserto. Mette in bocca di tutto,come se avesse patito la fame da cucciolo.

Ma Paco ha solo 8 mesi,troppo pochi per aver coscienza della vita d’adulto,troppi per essere trattato come un cucciolo.
Corre a scatti,gira in tondo,afferra arbusti e steli d’erba,lanciandoli in aria come balocchi. Ha l’istinto del cacciatore. E’ frenetico,veloce,abile,furbo.
Te ne accorgi quando innanzi si apre una pozzanghera d’acqua e fango. Incrocia il tuo no,fermo,pensato,inespresso.
In un attimo è un tutt’uno con lo specchio d’acqua circostante.
Sornione sfida la rapidità con la quale ti avventerai contro,per tirarlo dal nero della terra.Sa di avermi giocata,ancora una volta,come sempre.

Sono diversi i miei cani. Ma ogni difetto, ogni qualità si mescolano e completano a vicenda. L’uno è l’alba,l’altro il tramonto.
Vivono accanto condividendo cibo ed affetto.
Qualche volta si azzuffano, altre dormono insieme come bambini sfiniti dal gioco,altre stanno male.
Non abbandonate un cane.
Non lasciate che vaghino la notte per strade sconosciute, senza il conforto delle vostre carezze e dei vostri baci. Abbiate cura di loro,come amici carissimi,come figli,come fedeli compagni di una vita.

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